Casa di riposo: …. è permesso?

 

Martedi 14 novembre alcune persone, che fanno riferimento al gruppo “Volontari della Sofferenza” di Almese, hanno voluto bussare alla porta della Casa di Riposo “Santa Maria al Getzemani” per chiedere di trascorre alcune ore con le ospiti e gli ospiti della casa.

L’idea è stata di don Silvio Bertolo, che, dopo aver letto e commentato la prima scheda del sussidio dei Volontari dal tema “Gioia, pace e speranza per agire credendo”, ci ha invitati a cercare un impegno concreto. Noi Volontari della Sofferenza ci siamo domandati come poter comunicare gioia, pace e speranza nella nostra realtà territoriale. Ci siamo unite a Valeria, che da tempo conosce alcune anziane signore della Casa di Riposo facendo loro visita regolarmente. Tra le proposte operative, quella della visita agli anziani è stata fatta proprio da sei persone del gruppo, tra le quali la nostra coordinatrice Giovannina col marito Giuseppe.

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La Casa di Riposo di Almese è stata fondata dal Pievano don Ettore Ghiano nel 1959 ed è affidata a due suore dell’Istituto Piccole Serve del Sacro Cuore e a personale esterno specializzato.

Si distingue nettamente da altri istituti di accoglienza e cura degli anziani. Infatti è molto ben integrata nel territorio: si trova di fronte all’oratorio, a pochi passi dalla piazza, dalla chiesa parrocchiale e da tutti i servizi. Si tratta di una realtà piccola per dimensioni, calda e famigliare nei suoi ambienti, decisamente diversa da alcune grandi strutture molto impersonali e non certo a misura di anziano. Per contro ogni ospite ha spazi graziosi e gradevoli a disposizione, arredati come quelli di una casa di famiglia. C’è anche una piccola cappella.

Nonostante tutto questo, la quotidianità di ciascun anziano non è davvero agevole. La vita di comunità comporta uno spirito di adattamento e una pazienza che sono difficili da raggiungere anche da parte di persone più giovani e sane. Soprattutto i nostri ottantenni/novantenni hanno di solito un’esperienza di vita molto intensa e molto dura, legata a una grande forza d’animo e a una volontà ferrea di autonomia. La mancanza di fatto dell’autonomia, la decisione di ritirarsi in casa di riposo (o più spesso l’obbedienza a decisioni altrui), i disturbi di salute, la debolezza della memoria e talvolta anche il

decadimento psichico ostacolano la serenità. Il fatto che i figli e i parenti lavorino provocano solitudine e il senso di essere ormai messi da parte. Se tutto questo induce tristezza in un luogo gradevole ed efficiente come la Casa di Riposo di Almese, figurarsi nelle strutture più grandi e meno familiari.

Portare pace, gioia e speranza ai nostri anziani di Almese non è dunque affatto semplice né immediato. Tanto più che non sempre si può adottare una proposta unica per comunicare con i presenti. Gli anziani in realtà sono Firmino, Maria, Giuseppe, Lina, Bruna, Bruno,.., ognuno con i suoi pensieri, la sua sofferenza fisica, i suoi disagi interiori, le sue attese o l’assenza di attese.

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Noi sei del CVS abbiamo iniziato partecipando con alcuni di loro alla Santa Messa che viene celebrata ogni martedì alle ore 16:00. Poi tre di noi sono andati con vari ospiti nel salotto comune, dove hanno giocato a raccogliere i nomi dei presenti e la loro data di nascita. In tre invece siamo salite a fare un saluto e un po’ di compagnia ad alcune ospiti costrette a stare nel letto per le loro condizioni di salute. Abbiamo incontrato amicizia e saggezza, ma anche momenti di tristezza infinita. Una signora molto anziana, raccolta in avanti sulla carrozzina, era sola nel corridoio ed era in disaccordo con il mondo intero. Ci ha salutate con gentilezza, ma poi ci ha detto: “Andè mac…” (andate solo…) Questa rabbia contro il mondo è frequente nei vecchi. Come fare, noi, a portare pace?

Infine ci siamo ritrovati tutti nel salotto al pian terreno. Abbiamo cantato canzoni del passato che sapevamo di poter condividere, loro anziani e noi un po’ più giovani. Quasi tutti ricordavano le parole di tanti anni fa. Molti apparivano davvero contenti di cantare. A me che sto scrivendo è venuta personalmente un’infinita voglia di piangere, proprio nel momento della gioia. Forse perché riconoscevo mia mamma sia in Maria che cantava nonostante i femori che non la reggono, sia in Lina che non ne aveva proprio voglia e che si guardava le mani vedendole vecchissime e quasi non sue. Come fare a portare, noi, a tutti gioia?

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È normale porsi queste domande brevi e immense. La prima volta in cui si affronta una situazione è quella in cui si rilevano le necessità e si comincia a cercare gli strumenti.

Quanto a portare speranza, non è compito nostro. È cosa superiore a noi. La speranza non siamo noi a darla, ma è il Signore. E dai nostri anziani noi possiamo solo riceverla in dono.

Susanna Ubert

(Gruppo di Almese)

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